Il gioco del calcio in Giappone: Dalle origini Meiji ai sogni Mondiali
- Marco
- 15 giu
- Tempo di lettura: 4 min
Quando pensi al Giappone, probabilmente non è il calcio la prima immagine che ti viene in mente. Forse pensi ai templi, agli anime o ai ciliegi in fiore. Eppure, basta camminare per le strade di Tokyo o Osaka durante una partita della nazionale per vedere qualcosa di sorprendente: caffè pieni di tifosi in maglia blu, che urlano all’unisono come ipnotizzati. Oggi, il gioco del calcio in Giappone non è solo uno sport—è un fenomeno culturale, un simbolo di unità nazionale e il risultato di una trasformazione lunga più di un secolo.

Le origini: stivali britannici sul suolo giapponese
La storia del gioco del calcio in Giappone comincia, come molti altri aspetti della modernizzazione giapponese, con il periodo Meiji. Quando il Paese aprì le sue porte all’Occidente a partire dal 1868, influenze straniere di ogni tipo iniziarono ad arrivare—ferrovie, idee, sport. Tra questi, anche il football.
Nel 1873, alcuni ufficiali della marina britannica introdussero il calcio agli studenti delle accademie navali giapponesi. Inizialmente fu visto come una curiosità: un gioco straniero, giocato da stranieri, su campi improvvisati.
Ma la curiosità presto divenne entusiasmo. All’inizio del ‘900, si disputarono le prime partite tra squadre giapponesi e residenti occidentali. Nel 1921 nacque la Japan Football Association (JFA), primo passo verso l’organizzazione ufficiale del movimento. Da passatempo esotico, il calcio stava iniziando a mettere radici.
Scuole, università e sogni olimpici
Negli anni ‘20 e ‘30, il calcio si diffuse soprattutto attraverso le scuole e le università, diventando una parte importante dell’attività sportiva scolastica. La nazionale giapponese fece la sua prima comparsa internazionale ai Giochi Olimpici di Berlino del 1936, sorprendendo tutti con una storica vittoria in rimonta contro la Svezia. L’impresa, passata alla storia come il “Miracolo di Berlino”, accese la fantasia di molti giovani giapponesi.
Dopo la parentesi della guerra, fu negli anni ‘60 che il Giappone tornò protagonista, conquistando il bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Il bomber Kunishige Kamamoto divenne un’icona nazionale. Il calcio cominciava a farsi largo nel cuore della gente.
Japan Soccer League: l’era semi-professionistica
Nel 1965 nacque la Japan Soccer League (JSL), il primo campionato nazionale organizzato. Le squadre erano per lo più legate a grandi aziende: Mitsubishi, Yamaha, Nissan. I calciatori erano dipendenti che lavoravano di giorno e si allenavano dopo il lavoro.
Sebbene il livello fosse buono e i club competitivi, mancava qualcosa: il tifo, il calore popolare. Gli stadi erano spesso mezzi vuoti e il calcio restava uno sport di nicchia. Il Paese era pronto per una rivoluzione.
1993: La rivoluzione della J.League
Tutto cambiò nel 1993.
Quell’anno nacque la J.League, il primo campionato professionistico giapponese. Dieci squadre, un nuovo approccio, un marketing moderno e una visione chiara: trasformare il calcio in uno sport nazionale.
La prima partita tra Verdy Kawasaki e Yokohama Marinos fu seguita da milioni di spettatori. I club non erano più legati a grandi aziende ma alle città e alle comunità locali. Nacque lo slogan della “Visione dei Cent’anni”, un progetto a lungo termine per costruire una vera cultura calcistica in Giappone.
Non fu tutto facile: negli anni ‘90 la crisi economica fece calare l’affluenza, ma la lega seppe reagire. Nel 1999 venne creata la J2 League, e in seguito anche la J3, con sistema di promozione e retrocessione.
Oggi il campionato giapponese conta tre divisioni professionistiche, oltre 60 squadre e una struttura stabile e apprezzata anche all’estero.
Giovani, manga e palloni
Uno degli aspetti più interessanti del gioco del calcio in Giappone è la formazione giovanile. Dopo risultati deludenti negli anni ‘80, la JFA investì nella base: scuole, squadre giovanili, programmi tecnici, allenatori qualificati.
Ma ci fu anche un altro fattore determinante: i manga.
Nel 1981 uscì Captain Tsubasa, la storia di un ragazzino che sogna di diventare un campione. Questo fumetto conquistò il Paese e ispirò un’intera generazione. Molti calciatori professionisti giapponesi di oggi raccontano di aver iniziato a giocare proprio grazie a quelle pagine.
Il calcio era ormai ovunque: in TV, nei cartoni animati, nei giochi dei bambini.
Samurai Blue: la scalata mondiale
Nel 1998, il Giappone si qualificò per la sua prima Coppa del Mondo FIFA. Anche se non superò la fase a gironi, la partecipazione fu vissuta come una vittoria. Da lì in poi, il Giappone ha preso parte a tutti i Mondiali successivi, raggiungendo gli ottavi in più occasioni.
La nazionale maschile, soprannominata Samurai Blue, è oggi una delle formazioni più rispettate in Asia, con uno stile di gioco tecnico, veloce e organizzato.
Ma la vera impresa arrivò nel 2011, quando la nazionale femminile, le Nadeshiko Japan, vinse la Coppa del Mondo, battendo gli Stati Uniti ai rigori. Un trionfo che arrivò pochi mesi dopo il disastro del terremoto e tsunami di Tōhoku, diventando un simbolo di speranza.
Stelle internazionali e impatto culturale
Negli anni, la J.League ha attratto grandi nomi del calcio mondiale: Zico, Gary Lineker, Andrés Iniesta. Questi campioni hanno contribuito a far crescere il livello e l’attenzione internazionale.
Allo stesso tempo, i giocatori giapponesi hanno fatto strada in Europa: Hidetoshi Nakata, Keisuke Honda, Shinji Kagawa, Takefusa Kubo sono solo alcuni dei nomi che hanno rappresentato il Giappone nei grandi club europei.
Oggi, il gioco del calcio in Giappone è parte integrante della cultura popolare. I bambini giocano a calcio per strada, i giovani tifano per i club locali, gli adulti si appassionano alla nazionale. Il calcio riflette anche l’evoluzione sociale del Paese: le squadre sono più multiculturali, con giocatori di origini miste e naturalizzati.
Una visione che guarda lontano
Ciò che rende speciale il gioco del calcio in Giappone è la visione a lungo termine. La J.League ha puntato sul coinvolgimento della comunità, sulla formazione giovanile e su valori di trasparenza e crescita sostenibile.
Il calcio qui non è solo uno sport: è un progetto culturale.
E mentre il Giappone si prepara per la sua ottava partecipazione consecutiva alla Coppa del Mondo nel 2026, è chiaro che questa storia è appena cominciata. Il Giappone non si limita a giocare: vuole anche cambiare il gioco.
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